Giornata contro la violenza sulle donne
Un tempo la moda maschile era costruita attorno all’idea dell’uomo forte, pratico e infallibile. I capi dovevano trasmettere solidità, rigore e una maschilità quasi “funzionale”: linee rigide, colori scuri, tessuti resistenti. L’uomo era il pilastro della casa e gli abiti ne riflettevano il ruolo. Al contrario, l’abbigliamento femminile era sì più succinto, ma non osava scollature o trasparenze: la donna doveva apparire composta, moderata, una presenza silenziosa e domestica. Il modo di vestire diventava così una dichiarazione sociale dei compiti e delle aspettative di genere. Oggi lo scenario è radicalmente diverso. La moda ha iniziato a oltrepassare confini e categorie, dando spazio a identità più fluide e sfumate.
Sulle passerelle maschili compaiono abiti morbidi, scolli profondi, colori pastello, silhouette genderless che liberano il corpo da vecchi stereotipi. Lo stesso accade per la donna, che indossa completi sartoriali, volumi ampi, capi tradizionalmente “maschili” reinterpretati in chiave contemporanea. La moda racconta un mondo che evolve, un linguaggio che non ha più paura di mescolare, sperimentare, provocare. Eppure, basta scendere dalle passerelle ai commenti sotto un post per accorgersi che il pubblico reale è più lento della moda stessa. Le cattiverie, le ironie e i giudizi aggressivi proliferano: c’è chi deride, chi insulta, chi rifiuta qualsiasi forma di novità. È come se la società faticasse ad accettare un futuro che la moda, invece, propone con coraggio. A questo punto sorge spontanea una domanda: che mezzi abbiamo per denunciare i commenti negativi ed aggressivi ricevuti sui social, soprattutto da profili falsi?


